[newsgoth]
Avrebbe ascoltato molto poco di quella conferenza, giusto quel tanto che bastava per informarsi a proposito della pozione per eccellenza contro le stesse creature che, ignare di tutto, gli avevano "gentilmente" concesso il loro sangue per rinforzarlo contro la sua volontà.
Sapeva della Vampire Slayer, conosceva i suoi effetti, era a conoscenza della consistenza, del colore, di quanto risultasse letale, ma a livello storico, pratico, tecnico, conosceva poco e nulla, solo per quello aveva scelto di accompagnare Melia in quella sede di seminario, dovendo per altro sottostare all'iniziale desiderio suo di non apparire eccessivamente vicini in pubblico.
La strage avvenuta in Tunisia qualche tempo prima apparve alla sua mente quasi come uno scherzo del destino.
Negli ultimi tempi infatti, molte delle sue convinzioni riguardo il futuro e il suo ruolo nel mondo avevano cessato di avere una linea diretta e precisa, tramutando molte delle notti in terribili episodi di insonnia e nervosismo soppresso.
Una volta forse, pur avendo parte del sangue di natura vampiresca, avrebbe evitato di soffermarsi troppo sulla catastrofe descritta nei giornali, passando oltre, non reputandosi affatto uno di loro, ma qualcosa di diverso, qualcosa di estraneo a tutto e tutti, se non la Herbert, ovviamente.
Adesso invece, dopo aver capito i suoi sentimenti per Ariel ed aver elaborato nello spirito l'ipotesi che qualcosa che in lui potesse essere simile al mondo che lo circondava, Zephyr aveva letteralmente strappato quella pagina in segreto, visto solo dagli occhi attenti della cara amica Melia, nascondendo ogni sua emozione dietro la sua gelida e imperturbabile espressione che un giorno l'Oceano avrebbe affibbiato al perfetto Acuan dei ghiacci.
Quasi del tutto imbambolato fissava un poco la professoressa ed un poco la capigliatura non troppo distante della greca Serpeverde.
Non un appunto, non un singolo secondo utilizzato per scrivere, poiché per lui non ce n'era bisogno, nessun bisogno di segnare informazioni interessanti riguardo un veleno potenzialmente letale per lui e per la sua... "Specie".
Poco sentimento di appartenenza, ma ogni volta che pensava ad un simile intruglio mandare in fiamme un vampiro, era come se qualcosa gli ribollisse dentro, tramutando la sua calma risaputa in un autentico tifone gelido di neve, grandine e scaglie di ghiaccio tagliente.
Le uniche domande che si stava ponendo erano riferite al perché Melia lo avesse accompagnato lì e per di più, perché per il tragitto che li aveva visti camminare da soli senza spettatori gli aveva tenuto stretta la mano così intensamente, quasi in un desiderio di conforto?
Che fosse a conoscenza dei suoi sentimenti? Che fosse preoccupata per lui e per la sua reazione nel partecipare ad una conferenza come quella?
Come avrebbe potuto interpretare gli sguardi di colui che non poteva essere letto nemmeno dalla celebre professoressa di Divinazione?
Un dono segreto, o magari una tale vicinanza al suo cuore, o animo nel caso, da accorgersi di quando necessitava il suo aiuto?
Mentre il seminario proseguiva, lui non smetteva di farsi domande mentalmente, guardandola con insistenza e interrogativi costanti.
La collega si volse, l'amica si volse, l'amante si volse, il suo punto fermo si volse a guardarlo ed egli ricambiò lo sguardo.
Aveva perfettamente ragione a pensare che egli non avrebbe dato a vedere alcuna particolare sfumatura nell'espressione, ed aveva altrettanta ragione quando però era certa che in qualche modo lui le avrebbe fatto capire cosa in realtà stava pensando: si sentiva scomodo, a disagio.
Chi avrebbe mai voluto uccidere una Veela? Chi avrebbe mai voluto porre fine ad una creatura tanto bella e tanto enigmaticamente affascinante?
Nessuno, nessuno lo avrebbe mai fatto, perché la Veela era una creatura bella, una creatura apparentemente innocua, una creatura normale.
Il Vampiro invece, chiunque in quella stanza lo avesse incontrato, ne avrebbe subito provato timore, terrore, paura infinita e recondita.
Non importava quanto essi fossero integrati nella società o quanti di loro avessero imparato a convivere con gli esseri umani senza doverli mordere.
Nella mente umana, un Vampiro restava sempre e comunque qualcosa di avverso alla natura, all'ordine naturale delle cose, una manifestazione minacciosa dell'odio, della malvagità e della notte.
Cosa avrebbero fatto a scuola se avessero saputo che lui in parte era un Vampiro? Un figlio del buio e dell'oscurità più profonda e peccatrice?
Lo avrebbero accettato? Oppure lo avrebbero scacciato come un malato, come una piaga dell'umanità, come un nemico di ognuno?
Nei suoi occhi rossi scintillanti, Melia Herbert avrebbe potuto leggere tutto questo, una serie infinita di domande tutte rivolte a sé, tutte rivolte alla natura dannata che lo costringeva ad essere qualcosa che lui non aveva mai voluto essere.
Sbatté le palpebre velocemente, un paio di volte, non sapendo bene cosa rispondere ad una domanda simile, rivolta al suo stato d'animo.
Indicibili sofferenze, bruciature sul corpo, autocombustione interna... Lui cosa avrebbe percepito di tutto ciò?
Non era una domanda fattibile, in fondo chi mai aveva sentito parlare di un semi-vampiro in tutto il mondo? D'altronde loro mica avevano sperma.
Non erano in grado di riprodursi con una donna mortale e quindi creare degli ibridi viventi e non vivente allo stesso tempo.
Per un solo, breve, infinitesimo attimo, Zephyr Kenway provò il desiderio di alzarsi e dirigersi verso la cattedra dove la professoressa Bennet stava spiegando, afferrare la boccetta contenente la pozione e berne un sorso, rimanendo ad osservarne gli effetti sulla pelle e nel corpo.
Poco gli importava della vita e questo valeva da sempre, perché per lui quella non era vita ma una autentica condanna all'esilio eterno.
A differenza sua però, c'era una persona in quella sala alla quale importava eccome della sua vita e delle sue emozioni, la stessa che pochi secondi fa gli aveva chiesto come stava, come si stesse sentendo e alla quale ancora non aveva dato una doverosa risposta.
Ovvio che avesse sentito quel sottile sussurro amorevole, dolce, preoccupato, e tanto era bastato per fargli battere un poco di più quel cuore di pietra che risiedeva lento nel petto.
Non disse una parola, anche perché a differenza sua, lei non l'avrebbe potuto sentire ad una distanza simile e con la docente che ancora parlava e quindi disturbava l'intesa auditiva tra i due, ma sapeva che al termine del seminario le avrebbe fatto capire quanto stava apprezzando quell'attaccamento e quell'interessamento al suo dolore e ai suoi timori interiori.
Bere il sangue degli altri vampiri per assorbirne il potere e le capacità, diventando una forza inarrestabile e incredibile.
Interessante, o forse era interessante solo il processo di rinforzo della creatura, non tanto il metodo o l'energia posseduta da quel Lestat.
Zephyr era ben poco interessato a quel tizio, alla sua vita, al suo mondo, alla sua bravura o al suo fascino, però certo, doveva ammettere che quattro chiacchiere con lui le avrebbe scambiate molto volentieri, e questo solo per chiedergli se poteva dire di aver conosciuto mai la felicità, e non al tempo come essere umano, ma come Vampiro, come figlio del buio e del sangue, come un Eterno.
Forse egli non avrebbe potuto comunque fornirgli le risposte che Kenway cercava, essendo loro di due specie differenti, uno Vampiro per parte, l'altro del tutto, ma Zephyr era anche convinto di essere più vicino lui ad un essere umano di un non morto al 100%.
Se fosse stato davvero così e Lestat avesse mai incontrato la vera felicità almeno una volta nella vita, c'era quindi possibilità che ci fosse uno sprazzo di vero brio, vera gioia anche per lui? Oppure la Setta dei 12 era riuscita nell'intento di reprimere ogni suo sentimento positivo che durasse più di 10 secondi?
Chiunque avrebbe potuto rispondere ad una domanda simile, dicendo che finché lui poteva respirare, parlare, vivere e sperare, allora c'era la ferma possibilità che un giorno arrivasse a sorridere davvero senza provare più l'istinto di spegnersi e non meritarsi quell'attimo di Paradiso.
Il vero problema era che Z non sapeva se fosse in grado di sperare, perché la speranza era un sentimento fatto per i privilegiati, coloro che sentivano dentro di se un'energia autentica, bellissima e spontanea, naturale, mentre lui, quella gelida che possedeva in se, non sapeva se averla ricevuta pochi mesi prima oppure si era semplicemente risvegliata dopo tanto tempo, logora, graffiata, insanguinata, ma reale e pura.
Tra tutte le domande che vennero poste nei successivi dieci minuti, alle quali Martha Bennet rispose con autentica professionalità e classe, quelle di Melia Herbert furono quelle che, caso strano, lo colpirono di più, facendogli sentire ancora una volta la vicinanza del cuore della ragazza.
Sentiva in sé che almeno una delle due, la prima, probabilmente, era stata formulata in un tentativo sottile di difenderlo, di preservare la sua vita, come in un appello semplice a migliorare il rapporto con i vampiri, renderli ancora più parte del mondo e di conseguenza, rendere anche lui più parte di esso, accomunandolo a qualcosa, dandogli una famiglia, seppure ipotetica, seppure rarefatta, seppure strana e inumana.
Abbassò il capo, nel religioso silenzio dei suoi pensieri, dei suoi ringraziamenti segreti a quella meravigliosa creatura che tutti vedevano bella per il viso, gli occhi, il seno, la pelle, i capelli. Lui invece la vedeva bella per i sentimenti, i desideri, le premure e la gentilezza, per ciò che aveva dentro e che custodiva come un prezioso tesoro, dedicato quasi esclusivamente a lui, escludendo la presenza del docente di Alchimia.
Le ultime parole in ordine furono di Vergil Cartwright, che sembravano aver decretato il termine di quel seminario, già, sembravano, perché non fu così.
Si alzò piano, non guardandosi intorno, non volendo incrociare gli occhi di Mel, sapendo che la domanda che stava per fare da una parte non le sarebbe piaciuta e dall'altra l'avrebbe anche potuta in qualche modo spaventare, ma Zephyr necessitava di sapere una cosa, sempre a causa di quell'istinto di repulsione verso sé stesso che non lo abbandonava mai, anche quando, vinto dalla verità dei fatti, si scopriva innamorato.
Dopo di che, tornò seduto.
Alla fine della conferenza, si avvicinò un istante alla sua unica amica, prendendola per le mani, e senza pensare minimamente ai commenti altrui o alle dicerie per i corridoi, le posò un bacio leggerissimo sulle labbra, che in se non aveva passione o malizia, ma solo un piccolo ringraziamento e la solenne prova di quanto lui tenesse all'Aberrazione ipnotica, al pari dell'amore, intriso però di una consistenza differente.
Prima di allontanarsi, volendo nuovamente tornare alle proprie stanze per riflettere e isolarsi dal mondo, decise di lasciarle un'ultima richiesta, accompagnandola con una luce talmente triste negli occhi, da far somigliare quelle parole ad una preghiera disperata...
Salve a tutti.
Come molti di voi sapranno, qualche tempo fa il professor Vastnor chiese la mia collaborazione per istruirvi al meglio sulle tecniche di difesa contro il vampiro, inteso come creatura oscura. Naturalmente, questo corso di approfondimento per voi studenti verterà su una delle più grandi pozioni offensive che siano state inventate contro questo genere di nemico. Siete pregati quindi di fare assoluto silenzio, prendere piuma e pergamena e di stare bene attenti alle diapositive che vi verranno sottoposte nel corso della lezione.
Come molti di voi sapranno, qualche tempo fa il professor Vastnor chiese la mia collaborazione per istruirvi al meglio sulle tecniche di difesa contro il vampiro, inteso come creatura oscura. Naturalmente, questo corso di approfondimento per voi studenti verterà su una delle più grandi pozioni offensive che siano state inventate contro questo genere di nemico. Siete pregati quindi di fare assoluto silenzio, prendere piuma e pergamena e di stare bene attenti alle diapositive che vi verranno sottoposte nel corso della lezione.
Avrebbe ascoltato molto poco di quella conferenza, giusto quel tanto che bastava per informarsi a proposito della pozione per eccellenza contro le stesse creature che, ignare di tutto, gli avevano "gentilmente" concesso il loro sangue per rinforzarlo contro la sua volontà.
Sapeva della Vampire Slayer, conosceva i suoi effetti, era a conoscenza della consistenza, del colore, di quanto risultasse letale, ma a livello storico, pratico, tecnico, conosceva poco e nulla, solo per quello aveva scelto di accompagnare Melia in quella sede di seminario, dovendo per altro sottostare all'iniziale desiderio suo di non apparire eccessivamente vicini in pubblico.
La strage avvenuta in Tunisia qualche tempo prima apparve alla sua mente quasi come uno scherzo del destino.
Negli ultimi tempi infatti, molte delle sue convinzioni riguardo il futuro e il suo ruolo nel mondo avevano cessato di avere una linea diretta e precisa, tramutando molte delle notti in terribili episodi di insonnia e nervosismo soppresso.
Una volta forse, pur avendo parte del sangue di natura vampiresca, avrebbe evitato di soffermarsi troppo sulla catastrofe descritta nei giornali, passando oltre, non reputandosi affatto uno di loro, ma qualcosa di diverso, qualcosa di estraneo a tutto e tutti, se non la Herbert, ovviamente.
Adesso invece, dopo aver capito i suoi sentimenti per Ariel ed aver elaborato nello spirito l'ipotesi che qualcosa che in lui potesse essere simile al mondo che lo circondava, Zephyr aveva letteralmente strappato quella pagina in segreto, visto solo dagli occhi attenti della cara amica Melia, nascondendo ogni sua emozione dietro la sua gelida e imperturbabile espressione che un giorno l'Oceano avrebbe affibbiato al perfetto Acuan dei ghiacci.
E’ proprio in questo periodo, quando cioè popolose comunità di vampiri vennero allo scoperto, che si sentì l’esigenza di creare un’arma che potesse distruggerli facilmente e senza troppi problemi. Naturalmente, esistevano già incantesimi che potevano danneggiare e uccidere i vampiri; tuttavia, nonostante ora la loro esistenza fosse stata resa ormai nota, era comunque difficile stanarli dai luoghi nei quali essi si nascondevano. Era perciò necessario creare qualcosa che non destasse troppi sospetti, ma che fosse parimenti efficace contro queste creature oscure.
Quasi del tutto imbambolato fissava un poco la professoressa ed un poco la capigliatura non troppo distante della greca Serpeverde.
Non un appunto, non un singolo secondo utilizzato per scrivere, poiché per lui non ce n'era bisogno, nessun bisogno di segnare informazioni interessanti riguardo un veleno potenzialmente letale per lui e per la sua... "Specie".
Poco sentimento di appartenenza, ma ogni volta che pensava ad un simile intruglio mandare in fiamme un vampiro, era come se qualcosa gli ribollisse dentro, tramutando la sua calma risaputa in un autentico tifone gelido di neve, grandine e scaglie di ghiaccio tagliente.
Le uniche domande che si stava ponendo erano riferite al perché Melia lo avesse accompagnato lì e per di più, perché per il tragitto che li aveva visti camminare da soli senza spettatori gli aveva tenuto stretta la mano così intensamente, quasi in un desiderio di conforto?
Che fosse a conoscenza dei suoi sentimenti? Che fosse preoccupata per lui e per la sua reazione nel partecipare ad una conferenza come quella?
Come avrebbe potuto interpretare gli sguardi di colui che non poteva essere letto nemmeno dalla celebre professoressa di Divinazione?
Un dono segreto, o magari una tale vicinanza al suo cuore, o animo nel caso, da accorgersi di quando necessitava il suo aiuto?
Mentre il seminario proseguiva, lui non smetteva di farsi domande mentalmente, guardandola con insistenza e interrogativi costanti.
Abraham Ichabord Crane, alchimista, pozionista ed erbologo ottocentesco, nonché inventore di quella che oggi chiamiamo Vampire Slayer. In realtà, Crane era molto più raffinato nel dare nomi ai propri composti, tanto che in origine la sua pozione prendeva il nome di Necrovelenus, il Veleno dei Morti. Furono i cacciatori che la utilizzarono a soprannominarla semplicemente “Vampire Slayer”, AmmazzaVampiri, nome che poi venne conservato anche quando questa pozione venne perfezionata negli anni a venire. Quella di Crane, infatti, era solo un prototipo non ancora ben sviluppato, ma in ogni caso di grande utilità ed efficacia. Contro un vampiro Neonato o relativamente Giovane, questa pozione riusciva ad indebolirli a tal punto da permettere ai maghi cacciatori di finirli prima che avessero il tempo di attaccarli.
La collega si volse, l'amica si volse, l'amante si volse, il suo punto fermo si volse a guardarlo ed egli ricambiò lo sguardo.
Aveva perfettamente ragione a pensare che egli non avrebbe dato a vedere alcuna particolare sfumatura nell'espressione, ed aveva altrettanta ragione quando però era certa che in qualche modo lui le avrebbe fatto capire cosa in realtà stava pensando: si sentiva scomodo, a disagio.
Chi avrebbe mai voluto uccidere una Veela? Chi avrebbe mai voluto porre fine ad una creatura tanto bella e tanto enigmaticamente affascinante?
Nessuno, nessuno lo avrebbe mai fatto, perché la Veela era una creatura bella, una creatura apparentemente innocua, una creatura normale.
Il Vampiro invece, chiunque in quella stanza lo avesse incontrato, ne avrebbe subito provato timore, terrore, paura infinita e recondita.
Non importava quanto essi fossero integrati nella società o quanti di loro avessero imparato a convivere con gli esseri umani senza doverli mordere.
Nella mente umana, un Vampiro restava sempre e comunque qualcosa di avverso alla natura, all'ordine naturale delle cose, una manifestazione minacciosa dell'odio, della malvagità e della notte.
Cosa avrebbero fatto a scuola se avessero saputo che lui in parte era un Vampiro? Un figlio del buio e dell'oscurità più profonda e peccatrice?
Lo avrebbero accettato? Oppure lo avrebbero scacciato come un malato, come una piaga dell'umanità, come un nemico di ognuno?
Nei suoi occhi rossi scintillanti, Melia Herbert avrebbe potuto leggere tutto questo, una serie infinita di domande tutte rivolte a sé, tutte rivolte alla natura dannata che lo costringeva ad essere qualcosa che lui non aveva mai voluto essere.
Se bevuta, l’effetto che provoca, in base all’età del vampiro, può essere di polverizzazione istantanea, autocombustione interna, debolezza fisica e dolori lancinanti che travagliano l’intero corpo della creatura. Se lanciata contro il vampiro, invece, non appena la pozione entra a contatto con la sua pelle, questa genera una scarica di fuoco luminoso che ne avvolge il corpo bruciandolo più o meno lentamente, a seconda della resistenza dell’ avversario.
Stai bene?
Stai bene?
Sbatté le palpebre velocemente, un paio di volte, non sapendo bene cosa rispondere ad una domanda simile, rivolta al suo stato d'animo.
Indicibili sofferenze, bruciature sul corpo, autocombustione interna... Lui cosa avrebbe percepito di tutto ciò?
Non era una domanda fattibile, in fondo chi mai aveva sentito parlare di un semi-vampiro in tutto il mondo? D'altronde loro mica avevano sperma.
Non erano in grado di riprodursi con una donna mortale e quindi creare degli ibridi viventi e non vivente allo stesso tempo.
Per un solo, breve, infinitesimo attimo, Zephyr Kenway provò il desiderio di alzarsi e dirigersi verso la cattedra dove la professoressa Bennet stava spiegando, afferrare la boccetta contenente la pozione e berne un sorso, rimanendo ad osservarne gli effetti sulla pelle e nel corpo.
Poco gli importava della vita e questo valeva da sempre, perché per lui quella non era vita ma una autentica condanna all'esilio eterno.
A differenza sua però, c'era una persona in quella sala alla quale importava eccome della sua vita e delle sue emozioni, la stessa che pochi secondi fa gli aveva chiesto come stava, come si stesse sentendo e alla quale ancora non aveva dato una doverosa risposta.
Ovvio che avesse sentito quel sottile sussurro amorevole, dolce, preoccupato, e tanto era bastato per fargli battere un poco di più quel cuore di pietra che risiedeva lento nel petto.
Non disse una parola, anche perché a differenza sua, lei non l'avrebbe potuto sentire ad una distanza simile e con la docente che ancora parlava e quindi disturbava l'intesa auditiva tra i due, ma sapeva che al termine del seminario le avrebbe fatto capire quanto stava apprezzando quell'attaccamento e quell'interessamento al suo dolore e ai suoi timori interiori.
La storiografia e anche autobiografia di Pointe du Lac racconta, infatti, nei minimi dettagli come Lestat sia riuscito a bere il sangue di tre Antichi, che si rivelarono essere anche i capostipiti della razza dei vampiri, acquisendone i poteri, la forza e la resistenza. Nessuno poteva eguagliarlo. Naturalmente, queste affermazioni non vanno date per certe, in quanto ad oggi nessuno sembra aver più visto o sentito parlare di Lestat de Lioncurt. Sembra infatti che questo vampiro sia scomparso intorno alla fine dell’Ottocento, data nel quale sono andate perdute le sue tracce, insieme a quelle di Louis de Pointe du Lac.
Bere il sangue degli altri vampiri per assorbirne il potere e le capacità, diventando una forza inarrestabile e incredibile.
Interessante, o forse era interessante solo il processo di rinforzo della creatura, non tanto il metodo o l'energia posseduta da quel Lestat.
Zephyr era ben poco interessato a quel tizio, alla sua vita, al suo mondo, alla sua bravura o al suo fascino, però certo, doveva ammettere che quattro chiacchiere con lui le avrebbe scambiate molto volentieri, e questo solo per chiedergli se poteva dire di aver conosciuto mai la felicità, e non al tempo come essere umano, ma come Vampiro, come figlio del buio e del sangue, come un Eterno.
Forse egli non avrebbe potuto comunque fornirgli le risposte che Kenway cercava, essendo loro di due specie differenti, uno Vampiro per parte, l'altro del tutto, ma Zephyr era anche convinto di essere più vicino lui ad un essere umano di un non morto al 100%.
Se fosse stato davvero così e Lestat avesse mai incontrato la vera felicità almeno una volta nella vita, c'era quindi possibilità che ci fosse uno sprazzo di vero brio, vera gioia anche per lui? Oppure la Setta dei 12 era riuscita nell'intento di reprimere ogni suo sentimento positivo che durasse più di 10 secondi?
Chiunque avrebbe potuto rispondere ad una domanda simile, dicendo che finché lui poteva respirare, parlare, vivere e sperare, allora c'era la ferma possibilità che un giorno arrivasse a sorridere davvero senza provare più l'istinto di spegnersi e non meritarsi quell'attimo di Paradiso.
Il vero problema era che Z non sapeva se fosse in grado di sperare, perché la speranza era un sentimento fatto per i privilegiati, coloro che sentivano dentro di se un'energia autentica, bellissima e spontanea, naturale, mentre lui, quella gelida che possedeva in se, non sapeva se averla ricevuta pochi mesi prima oppure si era semplicemente risvegliata dopo tanto tempo, logora, graffiata, insanguinata, ma reale e pura.
Bene. E’ arrivato il momento delle domande.
Se avete dei quesiti da pormi, vi prego di parlare uno alla volta, alzando la mano e attendendo che sia io a darvi il via. Non abbiate timore di esporre i vostri dubbi: cercherò di essere quanto più esaustiva possibile nel rispondervi.
Se avete dei quesiti da pormi, vi prego di parlare uno alla volta, alzando la mano e attendendo che sia io a darvi il via. Non abbiate timore di esporre i vostri dubbi: cercherò di essere quanto più esaustiva possibile nel rispondervi.
Tra tutte le domande che vennero poste nei successivi dieci minuti, alle quali Martha Bennet rispose con autentica professionalità e classe, quelle di Melia Herbert furono quelle che, caso strano, lo colpirono di più, facendogli sentire ancora una volta la vicinanza del cuore della ragazza.
Sentiva in sé che almeno una delle due, la prima, probabilmente, era stata formulata in un tentativo sottile di difenderlo, di preservare la sua vita, come in un appello semplice a migliorare il rapporto con i vampiri, renderli ancora più parte del mondo e di conseguenza, rendere anche lui più parte di esso, accomunandolo a qualcosa, dandogli una famiglia, seppure ipotetica, seppure rarefatta, seppure strana e inumana.
Abbassò il capo, nel religioso silenzio dei suoi pensieri, dei suoi ringraziamenti segreti a quella meravigliosa creatura che tutti vedevano bella per il viso, gli occhi, il seno, la pelle, i capelli. Lui invece la vedeva bella per i sentimenti, i desideri, le premure e la gentilezza, per ciò che aveva dentro e che custodiva come un prezioso tesoro, dedicato quasi esclusivamente a lui, escludendo la presenza del docente di Alchimia.
Le ultime parole in ordine furono di Vergil Cartwright, che sembravano aver decretato il termine di quel seminario, già, sembravano, perché non fu così.
Professoressa Bennet.
Si alzò piano, non guardandosi intorno, non volendo incrociare gli occhi di Mel, sapendo che la domanda che stava per fare da una parte non le sarebbe piaciuta e dall'altra l'avrebbe anche potuta in qualche modo spaventare, ma Zephyr necessitava di sapere una cosa, sempre a causa di quell'istinto di repulsione verso sé stesso che non lo abbandonava mai, anche quando, vinto dalla verità dei fatti, si scopriva innamorato.
... Se le venisse chiesto di aggiungere un altro ingrediente alla pozione, un ingrediente che ha come scopo quello di rendere la morte del Vampiro indolore, come se si addormentasse, allo stesso modo della soppressione degli animali, lei... A cosa penserebbe?
Dopo di che, tornò seduto.
Alla fine della conferenza, si avvicinò un istante alla sua unica amica, prendendola per le mani, e senza pensare minimamente ai commenti altrui o alle dicerie per i corridoi, le posò un bacio leggerissimo sulle labbra, che in se non aveva passione o malizia, ma solo un piccolo ringraziamento e la solenne prova di quanto lui tenesse all'Aberrazione ipnotica, al pari dell'amore, intriso però di una consistenza differente.
Prima di allontanarsi, volendo nuovamente tornare alle proprie stanze per riflettere e isolarsi dal mondo, decise di lasciarle un'ultima richiesta, accompagnandola con una luce talmente triste negli occhi, da far somigliare quelle parole ad una preghiera disperata...
... Don't leave me alone...
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