[Queen Castle - nei pressi di Dundee - 17 Agosto]
Elbeth fissava con le braccia conserte le dolci colline che si stendevano davanti ai suoi occhi, come un immenso mare di verde, mosso appena dalla brezza del vento estivo.
Le vacanze stavano quasi terminando, i mesi estivi erano passati velocemente.
E lei era triste.
Immensamente triste.
La sua casa, il suo castello erano sempre stato il suo rifugio, ma in quei tre mesi quella che era la sua protezione si era rivelata una prigione. Così si era sentita in quei tempi. Chiusa in un gabbia dorata, dalla quale non poteva uscire, le cui mura le impedivano di guardare oltre e di andare dove avrebbe desiderato.
La Svezia, in quel caso.
Tante volte in quei lunghi giorni il vecchio maggiordomo l’aveva interrogata su cosa avesse, ma la piccola Grifa si era chiusa nel suo solito silenzio. Non si accorgeva dello sguardo preoccupato con cui la fissava, quando non lo vedeva, né che preparava ogni sorta di manicaretto che potesse farle piacere.
Riusciva solo a sentire quella strana sensazione di vuoto, che neanche Richard riusciva a colmare.
Come spiegargli cosa si agitava nel suo animo turbato di dodicenne?
All’inizio era andato tutto bene.
Le aveva scritto, quasi un gufo al giorno.
E non erano solo lettere, ma anche poesie…
C’era tutto di lui in quello che scriveva, c’era tutto di loro.
Lo avevano promesso: che quei giorni di separazione sarebbero passati in fretta e che si sarebbero rivisti presto, che nulla sarebbe cambiato in quella magica alchimia che si era venuta a creare tra loro.
Quando era diventato una presenza importante nella sua vita?
Non se ne era neanche resa conto. Era successo e basta. Con semplicità, con naturalezza.
Sorrise, mentre fissava l’erba muoversi, lentamente accarezzata dal vento.
Alla lezione di Pozioni, con l’Amortentia, lì aveva capito, per la prima volta, quanto in realtà tenesse a lui.
Molto più di quello che dimostrava. Molto più di quello che gli diceva (e che già per i suoi parametri era tanto!).
Così si era sentita. Accarezzata dal vento.
Lieve e dolce allo stesso tempo.
Si era sentita protetta e amata in un luogo ostile e quel luogo, lentamente, era cambiato, diventando accogliente e felice.
Poi i gufi avevano iniziato a scarseggiare, qualche volta in meno, dopo i primi dieci giorni.
Poi sempre meno… Il sorriso le morì sulle labbra.
Nelle ultime lettere era freddo, distante. E niente più poesie.
Ovviamente.
Certo, raccontava quello che faceva, ogni tanto Elbeth coglieva qualcosa di diverso, ma non osava chiedere.
In fondo, non aveva alcun diritto di chiedere, né di pretendere.
Ed ora si domandava se non fosse stato meglio per lei rimanere nel suo guscio.
Ritornare ad essere un riccio e non un colibrì…
Chissà perché le era venuto in mente proprio quel ricordo, il primo legato a lui.
...Forse perché un uccello aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri attraversando il cielo terso di agosto.
Sospirò vistosamente, mentre Richard, silente alle sue spalle, la osservava con sguardo teso.
Iniziava a crescere. E crescere non sempre era sinonimo di felicità e spensieratezza.
Poteva essere anche altro. Come in quel caso, per lei.
Ormai era quasi un mese che non si faceva più sentire ed Elbeth iniziava a pensare che anche tornati a scuola, non sarebbe stato più come prima.
Abbassò la testa affranta per quella considerazione.
Affrontare di nuovo Hogwarts con quel peso dentro al cuore: ce l’avrebbe fatta? Di nuovo?
Un bacio fugace poggiato con dolcezza sul suo capo, le fece pizzicare gli occhi dalle lacrime.
Non voleva che Richard la vedesse piangere.
Lo aveva fatto, certo! Ma la notte, nel buio della sua stanza, singhiozzando silenziosamente.
Quando nessuno poteva vedere, quando la mattina avrebbe potuto negare (anche a se stessa!) che fosse successo, come se ogni giorno che il sole sorgeva, il suo oggi fosse uguale al suo ieri e fosse sempre felice e spensierata.
Si poggiò all’indietro, contro il suo vecchio amico, e si lasciò avvolgere dal suo abbraccio.
Sei forte. Qualsiasi cosa ti sia accaduta, piccola mia, passerà…Si irrigidì a quelle parole.
Voleva che passasse? Voleva che il ricordo degli occhi, del sorriso, delle risate, si cancellasse?
Voleva che quella carezza lieve che aveva invaso - non richiesta e non voluta - la sua anima non ci fosse più?
Accennò di sì con il capo.
Richard le aveva dato del tu, voleva dire che la conversazione era intima e privata e che tale sarebbe rimasta.
Era il loro piccolo segreto. Di solito, era formale nel modo di rivolgersi a lei, ma quando c’erano dei momenti -
quei momenti! - allora tutto cambiava. E spesso la comprendeva meglio dei suoi stessi genitori.
In quel momento però, non riusciva a parlare senza rischiare di scoppiare a piangere.
Senza che quella sensazione di vuoto e di silenzio la invadesse di nuovo.
E la malinconia… Non voleva si preoccupasse per lei.
Era forte. Ovvio che ce l’avrebbe fatta!
Era vissuta senza l’affetto dei suoi genitori, aveva sopportato la lontananza da Richard, l’unico che le avesse mai dimostrato amore e dolcezza, era vissuta senza di
lui per così tanto tempo… cosa le avrebbe impedito di farlo di nuovo?
Il suo sguardo si indurì un po’.
La sua determinazione era pari alla sua impulsività: Richard lo sapeva bene.
Sapeva che quando si metteva una cosa in testa, nulla l'avrebbe smossa dalla sua posizione, finchè non avesse ottenuto ciò che voleva. E quello che voleva, ora, era semplicemente dimenticare.
E se non voglio che passi? - osò chiederglielo, quasi temendo la risposta.
Vuoi soffrire ancora?No… ma non voglio dimenticare... - affermò decisa.
Allora non accadrà.E se facesse troppo male, ricordare?Richard sorrise amaramente, mentre anche i suoi occhi si velavano di pianto.
Non lo poteva vedere, ma sentiva che era partecipe del suo stato, della sua sofferenza, quasi l’avesse provata a sua volta.
E’ successo anche a me, sai? - ecco che le confermava la sua sensazione -
Tanto, tanto tempo fa... Non ho dimenticato, il ricordo mi ha fatto soffrire per molto tempo, ma alla fine ciò che avevo perso mi è stato magicamente restituito.La sua frase, ad un orecchio più attento sarebbe suonata sibillina. Ma la ragazzina gli diede un altro significato.
Aveva perso sua figlia. Glielo aveva raccontato solo una volta ed Elbeth non aveva osato chiedere altro, nè aveva toccato nuovamente l’argomento: era stato troppo doloroso. Sapeva che in qualche modo il suo affetto era stato riversato su di lei. Ed egoisticamente ne ero contenta. Se non ci fosse stato lui al suo fianco, a quest'ora...
Non poteva contemplare una vita senza Richard!
Anche in quel momento.
Sospirò.
Nessuno le avrebbe restituito niente.
Di questo era stranamente conscia.
Non puoi fare nulla per cambiare le cose? - lo chiese a bruciapelo. Elbeth quasi sussultò per la domanda inaspettata.
Forse... - sussurrò la ragazzina perplessa.
Fallo! - le diede un ultimo bacio sul capo, prima di lasciarla da sola con i suoi pensieri.
Sciolta dal suo abbraccio rassicurante, rabbrividì un pò.
Voltò lo sguardo verso la scrivania della biblioteca.
Le rune erano sparse ed i libri aperti, molte pergamene erano vergate con la sua grafia ordinata e svolazzante.
In fondo, perchè non provare? Cosa aveva da perdere?
Sorrise. Era la sua materia preferita.
Perchè non usare quel canale per comunicare, dato che sembrava non avere più altro modo per parlare con lui?
Si avvicinò con cautela alla scrivania e sfiorò le rune sparse.
Le mise in ordine alfabetico, così come le avevano insegnato ad Hogwarts.
Si accomodò ed impugnò la piuma, prima di iniziare a scrivere.
Ci misi tutto il suo impegno, anche se il suo talento artistico non era così spiccato come quello di lui.
Ogni singola runa le richiese uno sforzo ed un impegno, come se i simboli che rappresentassero infondessero a quello che stava scrivendo un'energia diversa.
Non era come scrivere in inglese...
Alla fine era soddisfatta del suo operato.
Erano poche frasi, citazioni di un vecchio libro babbano che entrambi avevano letto (o meglio lei avevo letto, perchè lui lo aveva suggerito!) e che le era piaciuto. Era piaciuto loro tanto!
Forse non le avrebbe più parlato.
Forse non era più interessato a lei, alla sua amicizia.
Ma voleva che sapesse, che in lui aveva visto se stessa... Come uno specchio che riflette un’immagine precisa.
Si era fidata di lui. Nonostante la sua diffidenza cronica.
Non capiva cosa gli fosse successo ora, ma lei avrebbe visto sempre altro in lui!
Sarebbe stato sempre così...
Piegò accuratamente la pergamena e la arrotolò, per poi fissarla con cura al gufo che serviva la sua famiglia.
Il cuore le batteva forte.
Sussurrò appena il suo nome.
Il gufo conosceva benissimo la strada: l’aveva percorsa così tante volte appena un mese prima.
Quello che non sapeva, guardando speranzosa il gufo partire alla volta della Svezia, è che quell’ultima missiva sarebbe rimasta senza risposta e che tornati ad Hogwarts, il ragazzino le avrebbe rivolto sì parola, anche sorridendole spesso, ma che avrebbe preferito altre compagnie alla sua.
Qualcosa si era rotto e non si era più riparato...
Altri occhi, oltre quelli di Richard, avrebbero iniziato a fissarla con uno sguardo diverso.
Per molto tempo non se ne sarebbe accorta... fino a che un altro gufo, imprevisto, non avrebbe bussato di nuovo, alla sua finestra.
Strappandole un sorriso.
[Fine Autoconclusiva]