Sala Master n°7 - Storia della Magia
Inviato: 28/09/2015, 13:53
[12 Novembre 2110 - Ministero della Magia - Sala Master n°7 - ore 12:05]
Tenga pure il resto.
La voce di Tisifone era rigida, trattenuta, mentre lasciava al tassista una manciata di sterline - probabilmente molto più del dovuto vista l'espressione esterrefatta dell'uomo - per poi avviarsi verso l'angolo della strada dove si trovava la cabina del telefono di accesso al Ministero della Magia. Un taxi. Aveva dovuto prendere un taxi - e per fortuna che Noah l'aveva praticamente costretta a portare sempre con sè un borsellino con dei soldi babbani per le emergenze - perchè le era bastato fare quattro passi al di fuori del negozio per rendersi conto che non aveva la forza nè fisica nè mentale per coprire il tragitto a piedi o con la magia. A tutti gli effetti non era neanche sicura di come avesse fatto a raggiungere l'uscita di Diagon Alley e immettersi nella Londra caotica babbana senza accasciarsi a terra. Pura forza di volontà o forse di disperazione ed era proprio una Tisifone disperata quella che, tenendo il cappuccio del mantello ben tirato sulla testa a nascondere il volto, attraversava l'Atrio del Ministero in direzione degli ascensori. Nessuno badava a lei - così come non l'aveva fatto il tassista, probabilmente tranquillizzato dai jeans babbani che spuntavano da sotto quello strano mantello blu notte - e lei cercava di non incrociare lo sguardo di nessuno, facendo saettare lo sguardo ovunque senza soffermarsi su nulla in particolare, mentre si sforzava di camminare con il solito passo deciso e controllato. Non voleva che qualcuno, guardandola in viso, si rendesse conto di quanto fosse sconvolta e ancor meno voleva essere soccorsa da qualche Auror volenteroso che le avrebbe fatto una infinità di domande nel tentativo di rendersi utile ottenendo solo l'effetto di farla sentire ancora più male. Perchè non aveva contattato direttamente l'Ufficio Auror invece di mandare il suo padrino, insieme a Zephyr, tra i canini di quattro vampiri affamati?
Perchè sei codarda ed egoista ...
La etichettò impietosamente la sua coscienza, costringendola a mordersi il labbro inferiore per non lasciarsi sfuggire un singhiozzo. Non poteva permettersi il lusso di manifestare nessuna emozione, non fino a quando non avesse trovato Noah, se non voleva crollare come un castello di carte babbane. Cercò quindi di svuotare la mente e concentrarsi solo sul movimento dell'ascensore, inghiottendo a vuoto aria e sensi di colpa. Li aveva mandati tutti incontro a un pericolo mortale e se anche uno solo di loro avesse riportato danni irreversibili sarebbe stata tutta colpa sua. Non importava che il tempo esiguo non le aveva permesso di agire altrimenti nè che la gravidanza le impediva di abusare della smaterializzazione o che gli Auror, prima di mandare qualcuno, avrebbero preteso tante, troppe spiegazioni sprecando minuti che non avevano e probabilmente mettendola sotto custodia per accertamenti sul suo Dono. Lei aveva avuto la visione, lei aveva decisone come fronteggiare l'emergenza, lei aveva tentato di alterare il corso del Destino e quindi suoi erano gli oneri - perchè di onori non ce ne sarebbero stati.
Mi scusi...
Non rispose nè si voltò verso la persona che l'aveva accidentalmente urtata come se non si fosse accorta di nulla e in parte era vero. Tutto il suo essere era proiettato nel raggiungere la porta dell'aula in fondo al corridoio, quella aperta e da cui le persone stavano fluendo in maniera lievemente più composta di come facevano i suoi studenti a Hogwarts.
La lezione è finita, quindi...
Non concluse la frase mormorata quasi tra sè perchè non voleva sapere che ore erano, quanto tempo era passato da quando Zephyr si era smaterializzato perchè se avesse preso consapevolezza del tempo trascorso allora la sua mente avrebbe iniziato a generare una pluralità di interrogativi a cui non avrebbe potuto rispondere e che l'avrebbero gettata ancora più nel panico. Entrò nell'aula e, assicuratasi che non vi fosse più nessuno, la chiuse e la sigillò con un colpo di bacchetta ignorando eventuali esclamazioni o battute del marito. Solo quando fu sicura che nessuno avrebbe potuto disturbarli si volse verso l'uomo e, fatto un profondo respiro, abbassò finalmente il cappuccio.
Occhi lucidi, le guance rigate di lacrime, le labbra gonfie e rosse, i capelli, quella mattina racchiusi in un morbido chignon, che le incorniciavano il volto in maniera disordinata e uno sguardo così disperatamente vivo. Con passo malfermo coprì la distanza che la separava da Noah, nascondendo il viso sul suo petto e avvolgendo le braccia intorno alla sua vita. Non si era mai mostrata all'uomo - non per orgoglio ma perchè non ve ne era stata fortunatamente occasione - così bisognosa di rassicurazioni, di conforto, fragile. Rimase in quella posizione per un minuto buono, scossa dai singhiozzi, con le lacrime che finalmente potevano sgorgare liberamente per poi scostare lievemente il viso da quel rifugio sicuro e guardare dritto negli occhi l'uomo che amava.
Ho anteposto la sicurezza di nostro figlio alle vite di Zephyr e Ariel e se dovesse accadere loro qualcosa non me lo perdonerei mai.
Mentre parlava si rendeva conto di quanto sbagliate fossero le parole che stava pronunciando, sbagliato il modo e i sentimenti che provava. A pranzo, in un ristorantino intimo, - e non in un'anonima aula del Ministero - con gli occhi che le traboccavano di gioia - e non di lacrime - e l'eccitazione - non la paura - a impedirle di rimanere ferma: così avrebbe dovuto dire a Noah che sarebbero diventati genitori ma a quanto sembrava il Fato, pur avendole fatto un dono inestimabile, era deciso a farglielo sudare fino all'ultimo.