Bloody Love. Storia di un assassino.
Inviato: 07/08/2013, 15:38
Interessante titolo vero?
Non immaginate Vampiri, Licantropi o quant'altro.
Questa è la storia di due Assassini.
Di un patto.
E di un amore insanguinato fino all'ultimo fiato.
Autore: Saana Leyla Ayed
Genere: non saprei dare un genere...probabilmente thriller e/o horror.
Avvisi: può contenere contenuti violenti espliciti.
Rating: PG13
Sommario: due assassini, un solo obiettivo. Uccidere.
Disclaimer: tutti i personaggi sono un'opera di fantasia della sottoscritta.
Capitolo 1.
Faith and dreams...
Soffoco. Precipito. Caos. Poi, il nulla. Il vuoto.
Non respiro, c'è troppo fumo qui. Urla strazianti si diffondono nel silenzio di quella landa oramai deserta, priva di vita. Non si respira. Agghiacciante. Catene di metallo mi graffiano i polsi, non odo più niente. Caos. Le case in fiamme bruciano lontane in un angolo, braci che ardono nella gola come la nicotina di una sigaretta a stomaco vuoto. Graffia, morde, attanaglia le viscere senza mai fermarsi. Fuochi rossi, fuochi neri. Cosa succede? Dove mi trovo? Qualcuno mi salvi, qualcuno mi porti via da tutto questo dolore. Sono solo sogni, sono solo sogni. Me lo ripeto, ma non riesco ad uscirne. Provo a farmi male, ma le unghie incrostate di sangue non esistono più. Sono solo vuoti, solo sprazzi di memoria che riaffiorano. Invece no. Le orecchie si riempiono di quelle grida lacerate di vite spezzate, il cuore pompa sangue incessante, che scorre nelle vene senza sosta. Anime rubate, strappate, portate via lontano, e corpi senza un alito. Non un respiro, solo un lamento che si scaglia a duecento metri, verso una figura senza volto, senza nome, senza identità. Senza significato. Non ho più forze. Ho troppo lottato, la guerra non finisce mai. Morte. Assasinio. Ferite che si aprono e si non si chiudono mai. Gli occhi non si aprono, non respiro. Soffoco. L'oblio. Poi, il nulla.
Nevaeh si svegliò d'improvviso. Gli occhi si aprirono, e ritornò a respirare. Aria che fa male, aria che sa di cenere, sporca, marcia. Affanno, fatica, ferita. Cosa era successo? Cos'era tutto quello strazio, quel dolore, quel peso che si sentiva sulle spalle? La fronte imperlata di sudore, si guardò intorno ancora stordita, ancora in quei sogni così strani, così diversi...così terrificanti. Le fiamme, il sangue che scorreva a fiumi sulla terra arida, la morte che non aveva pietà per nessuno e trascinava ogni anima nel suo regno infernale. Scosse la testa e guardò sul comodino, in cerca dell'unica soluzione possibile. Una sigaretta e un bicchiere di vodka. Liscia e senza ghiaccio. Nevaeh Lacroix, venticinque anni, assassina spietata. Se qualcuno avesse potuto fare una descrizione di quella donna sarebbe stata quella. Tremava, piangeva, scossa dai signhiozzi nel lurido materasso di un qualsiasi motel dei sobborghi di Londra. Cedeva in rari momenti, e quei sogni oramai continuavano a tormentarla da settimane, senza cesso, senza sosta. Sempre gli stessi, sempre uguali, non cambiava niente. Guerra. una guerra. Una vita precedente forse. O il frutto della sua mente malata, priva di scrupoli, priva d'emozioni. Nevy non lo sapeva. Non ne aveva la minima idea. Ma quella sigaretta le dava il gusto amaro di qualcosa che presto avrebbe sconvolto la sua vita.
Spense la sigaretta sul pavimento in abete della stanza, gettando un occhio intorno a sé per controllare che tutto fosse in ordine. Pugnale avvinghiato alla sua coscia destra tramite una cintura di pelle nera, vestiti sparsi a caso sulla sedia logora. Tutto era come l'aveva lasciato. Si alzò, posando i piedi sul legno freddo e umido. Ancora sensazioni. La testa che girava, e immagini di una vita mai vissuta. Pietra. Una cella. Catene mai spezzate, ferite mai rimarginate. I polsi dolevano, la testa cedeva su un corpo che non poteva più muoversi, il cuore non batteva quasi più. Niente più tamburi, solo un lieve ronzio che le faceva fremere le ossa. Freddo. Pausa. La realtà. Di nuovo la ragazza si ritrovò con gli occhi spalancati su un soffitto grigio, senza forma. Il suo corpo giaceva informe sul pavimento, i capelli sul suo viso imperlato da un lieve strato di sudore. Cosa cazzo stava accadendo in quel motel? Cercò di alzarsi, poggiandosi sui gomiti pallidi e rovinati dall'ozio. La stanza era ancora buia, ma le tende sopprimevano i primi raggi di sole che facevano capolino in quella strana mattinata. Si alzò, già stanca, e andò ad aprire la finestra, chiudendo gli occhi per non farsi accecare dalla luce. Ancora ricordi, ancora immagini che scorrevano nella sua mente. Una battaglia che finiva sempre in una sola direzione. Infilò una maglietta leggera per coprire le sue nudità. Una doccia, ecco cosa ci voleva. Fredda, come il sudore che ricopriva la sua pelle.
Acqua che scorre. Lava via la sporcizia, purifica l'anima, assolve i peccati. L'acqua. Elemento femminile per eccellenza, il simbolo della fertilità. Il corpo nudo riceve la benedizione, e si libera da tutte le tossine. Nevaeh lasciò scorrere il getto sui suoi capelli e sul viso, ancora riempito da quell'espressione di terrore con la quale quel mattino si era svegliata. Incubi, morsa che afferra le budella, stomaco che si rivolta per gettare via tutto il fumo che aveva imprigionato. La donna si piegò in due, sputando acido dalle labbra carnose, per poi risciacquarsi il volto. Era stanca, e quel momento non sarebbe passato molto in fretta. La cascata d'acqua si fermò d'improvviso, mentre Nevy usciva dalla doccia arrugginita e malconcia. Si guardò allo specchio. Occhi di ghiaccio, capelli umidi appiccicati alla pelle come foglie ai vetri in autunno. Le labbra carnose sporgevano e risaltavano su quel viso. E una cicatrice, unica, che partiva da sotto il suo mento per arrivare alla scapola sinistra. Non sapeva come se l'era fatta, l'aveva da sempre. O almeno così credeva. Credere. In che cosa, poi? Una fede che non si era creata da sola, ma che altri le avevano indottrinato. Un dio da idolatrare. L'omicidio. E i comandamenti da seguire. E le regole a cui sottomettersi. E la gerarchia da rispettare. Tutte cose che lei non digeriva. Passava da una sponda all'altra fottendosene di chi avesse ragione o torto. A lei bastava una ricompensa con la quale tirare a campare, per il resto potevano anche ammazzarsi tra loro. Ma qualcosa attirò la sua attenzione. Un biglietto sotto la porta. E un messaggio che non attendeva.
"Non ti preparare, non ho nessun lavoro da assegnarti.
Voglio solo vederti e sapere come stai. Sai che mi preoccupo.
Vediamoci al solito posto e alla solita ora"
Heddwyn"
Sorrise. Un sorriso amaro, velato di maliconia. Heddwyn Adrian Russell, l'unico che riusciva a comprendere i suoi silenzi. Non aveva avuto vita facile, quel ragazzo. Scoprire che Melancolia Drokomoninov era la reale assassina di Etienne...e che il mandatario era stato il proprio padre, non doveva essere stato facile da accettare. Oramai erano passati mesi dal loro scontro, conclusosi con la morte di quest'ultima. La grande Assassina deceduta in uno scontro a sangue con un suo sottomesso. La notizia aveva fatto il giro della cerchia in men che non si dica, ma nessuno osava tirare fuori l'argomento. Lei, però, la ricordava quella notte. Era lì, insieme a Heddwyn, quando accadde l'imprevisto.
Notte di pioggia, quella. Nevaeh camminava tranquilla, affiancata da uno dei tanti colleghi, forse il meno attaccato al gruppo di assassini di cui facevano parte. Uccidevano comunque, è vero. Spietati, senza scrupoli né morale. Ma di certo era quello a cui i sentimenti non erano completamente scomparsi. Lei era diversa. Li nascondeva, se ne vergognava, e a parte in qualche istante di tenerezza e di scherno con lui, Nevaeh non mostrava altro se non il proprio sadismo e il proprio istinto omicida. Quella notte avevano bevuto un po' troppo, entrambi, e stavano camminando da una parte all'altra delle strada come due dei peggiori ubriaconi. La nebbia scendeva davanti agli occhi a tratti, quando un'altra figura si parò davanti a loro, una figura abbastanza conosciuta nel loro ambiente, anche se molto temuta e molto poco vista. Melancolia Drokomoninov, detta "la Sterminatrice". Ed era vero. Era lei l'esempio di tutti gli uomini e le donne che intraprendevano la carriera di assassini professionisti. Rigore, disciplina, rispetto delle regole. Il modello da prendere in considerazione. Non per loro. Gli occhi color ghiaccio della donna, così simili ai suoi, fissavano i loro corpi, che non riuscivano a stare dritti dal troppo alcool bevuto. Era durato un attimo. Un pugnale d'oro e due pistole fendevano già l'aria. Poi, l'irreparabile. E tutto finì in un solo, accecante, istante di disperazione.
Entrambi avevano partecipato al funerale, poiché era pur sempre una di loro, e la gerarchia andava rispettata in ogni occasione. Nessuno era a conoscenza di chi l'aveva uccisa. Non vi erano molte persone. Delphine Moonblack , una delle tante killer a doppia sponda, come le chiamava lei, era rimasta in disparte, dietro un platano. E da quel giorno, tutto cambiò in un solo, breve attimo di pura follia.
Spero vi piaccia...questo è il primo capitolo, il primo di una lunga serie, spero.
Mi piacerebbe sapere la vostra opinione, in qualunque caso.
Con tanta curiosità e ancor più voglia di scrivere,
Saana Leyla Ayed
Non immaginate Vampiri, Licantropi o quant'altro.
Questa è la storia di due Assassini.
Di un patto.
E di un amore insanguinato fino all'ultimo fiato.
Autore: Saana Leyla Ayed
Genere: non saprei dare un genere...probabilmente thriller e/o horror.
Avvisi: può contenere contenuti violenti espliciti.
Rating: PG13
Sommario: due assassini, un solo obiettivo. Uccidere.
Disclaimer: tutti i personaggi sono un'opera di fantasia della sottoscritta.
Capitolo 1.
Faith and dreams...
Soffoco. Precipito. Caos. Poi, il nulla. Il vuoto.
Non respiro, c'è troppo fumo qui. Urla strazianti si diffondono nel silenzio di quella landa oramai deserta, priva di vita. Non si respira. Agghiacciante. Catene di metallo mi graffiano i polsi, non odo più niente. Caos. Le case in fiamme bruciano lontane in un angolo, braci che ardono nella gola come la nicotina di una sigaretta a stomaco vuoto. Graffia, morde, attanaglia le viscere senza mai fermarsi. Fuochi rossi, fuochi neri. Cosa succede? Dove mi trovo? Qualcuno mi salvi, qualcuno mi porti via da tutto questo dolore. Sono solo sogni, sono solo sogni. Me lo ripeto, ma non riesco ad uscirne. Provo a farmi male, ma le unghie incrostate di sangue non esistono più. Sono solo vuoti, solo sprazzi di memoria che riaffiorano. Invece no. Le orecchie si riempiono di quelle grida lacerate di vite spezzate, il cuore pompa sangue incessante, che scorre nelle vene senza sosta. Anime rubate, strappate, portate via lontano, e corpi senza un alito. Non un respiro, solo un lamento che si scaglia a duecento metri, verso una figura senza volto, senza nome, senza identità. Senza significato. Non ho più forze. Ho troppo lottato, la guerra non finisce mai. Morte. Assasinio. Ferite che si aprono e si non si chiudono mai. Gli occhi non si aprono, non respiro. Soffoco. L'oblio. Poi, il nulla.
Nevaeh si svegliò d'improvviso. Gli occhi si aprirono, e ritornò a respirare. Aria che fa male, aria che sa di cenere, sporca, marcia. Affanno, fatica, ferita. Cosa era successo? Cos'era tutto quello strazio, quel dolore, quel peso che si sentiva sulle spalle? La fronte imperlata di sudore, si guardò intorno ancora stordita, ancora in quei sogni così strani, così diversi...così terrificanti. Le fiamme, il sangue che scorreva a fiumi sulla terra arida, la morte che non aveva pietà per nessuno e trascinava ogni anima nel suo regno infernale. Scosse la testa e guardò sul comodino, in cerca dell'unica soluzione possibile. Una sigaretta e un bicchiere di vodka. Liscia e senza ghiaccio. Nevaeh Lacroix, venticinque anni, assassina spietata. Se qualcuno avesse potuto fare una descrizione di quella donna sarebbe stata quella. Tremava, piangeva, scossa dai signhiozzi nel lurido materasso di un qualsiasi motel dei sobborghi di Londra. Cedeva in rari momenti, e quei sogni oramai continuavano a tormentarla da settimane, senza cesso, senza sosta. Sempre gli stessi, sempre uguali, non cambiava niente. Guerra. una guerra. Una vita precedente forse. O il frutto della sua mente malata, priva di scrupoli, priva d'emozioni. Nevy non lo sapeva. Non ne aveva la minima idea. Ma quella sigaretta le dava il gusto amaro di qualcosa che presto avrebbe sconvolto la sua vita.
Spense la sigaretta sul pavimento in abete della stanza, gettando un occhio intorno a sé per controllare che tutto fosse in ordine. Pugnale avvinghiato alla sua coscia destra tramite una cintura di pelle nera, vestiti sparsi a caso sulla sedia logora. Tutto era come l'aveva lasciato. Si alzò, posando i piedi sul legno freddo e umido. Ancora sensazioni. La testa che girava, e immagini di una vita mai vissuta. Pietra. Una cella. Catene mai spezzate, ferite mai rimarginate. I polsi dolevano, la testa cedeva su un corpo che non poteva più muoversi, il cuore non batteva quasi più. Niente più tamburi, solo un lieve ronzio che le faceva fremere le ossa. Freddo. Pausa. La realtà. Di nuovo la ragazza si ritrovò con gli occhi spalancati su un soffitto grigio, senza forma. Il suo corpo giaceva informe sul pavimento, i capelli sul suo viso imperlato da un lieve strato di sudore. Cosa cazzo stava accadendo in quel motel? Cercò di alzarsi, poggiandosi sui gomiti pallidi e rovinati dall'ozio. La stanza era ancora buia, ma le tende sopprimevano i primi raggi di sole che facevano capolino in quella strana mattinata. Si alzò, già stanca, e andò ad aprire la finestra, chiudendo gli occhi per non farsi accecare dalla luce. Ancora ricordi, ancora immagini che scorrevano nella sua mente. Una battaglia che finiva sempre in una sola direzione. Infilò una maglietta leggera per coprire le sue nudità. Una doccia, ecco cosa ci voleva. Fredda, come il sudore che ricopriva la sua pelle.
Acqua che scorre. Lava via la sporcizia, purifica l'anima, assolve i peccati. L'acqua. Elemento femminile per eccellenza, il simbolo della fertilità. Il corpo nudo riceve la benedizione, e si libera da tutte le tossine. Nevaeh lasciò scorrere il getto sui suoi capelli e sul viso, ancora riempito da quell'espressione di terrore con la quale quel mattino si era svegliata. Incubi, morsa che afferra le budella, stomaco che si rivolta per gettare via tutto il fumo che aveva imprigionato. La donna si piegò in due, sputando acido dalle labbra carnose, per poi risciacquarsi il volto. Era stanca, e quel momento non sarebbe passato molto in fretta. La cascata d'acqua si fermò d'improvviso, mentre Nevy usciva dalla doccia arrugginita e malconcia. Si guardò allo specchio. Occhi di ghiaccio, capelli umidi appiccicati alla pelle come foglie ai vetri in autunno. Le labbra carnose sporgevano e risaltavano su quel viso. E una cicatrice, unica, che partiva da sotto il suo mento per arrivare alla scapola sinistra. Non sapeva come se l'era fatta, l'aveva da sempre. O almeno così credeva. Credere. In che cosa, poi? Una fede che non si era creata da sola, ma che altri le avevano indottrinato. Un dio da idolatrare. L'omicidio. E i comandamenti da seguire. E le regole a cui sottomettersi. E la gerarchia da rispettare. Tutte cose che lei non digeriva. Passava da una sponda all'altra fottendosene di chi avesse ragione o torto. A lei bastava una ricompensa con la quale tirare a campare, per il resto potevano anche ammazzarsi tra loro. Ma qualcosa attirò la sua attenzione. Un biglietto sotto la porta. E un messaggio che non attendeva.
"Non ti preparare, non ho nessun lavoro da assegnarti.
Voglio solo vederti e sapere come stai. Sai che mi preoccupo.
Vediamoci al solito posto e alla solita ora"
Heddwyn"
Sorrise. Un sorriso amaro, velato di maliconia. Heddwyn Adrian Russell, l'unico che riusciva a comprendere i suoi silenzi. Non aveva avuto vita facile, quel ragazzo. Scoprire che Melancolia Drokomoninov era la reale assassina di Etienne...e che il mandatario era stato il proprio padre, non doveva essere stato facile da accettare. Oramai erano passati mesi dal loro scontro, conclusosi con la morte di quest'ultima. La grande Assassina deceduta in uno scontro a sangue con un suo sottomesso. La notizia aveva fatto il giro della cerchia in men che non si dica, ma nessuno osava tirare fuori l'argomento. Lei, però, la ricordava quella notte. Era lì, insieme a Heddwyn, quando accadde l'imprevisto.
Notte di pioggia, quella. Nevaeh camminava tranquilla, affiancata da uno dei tanti colleghi, forse il meno attaccato al gruppo di assassini di cui facevano parte. Uccidevano comunque, è vero. Spietati, senza scrupoli né morale. Ma di certo era quello a cui i sentimenti non erano completamente scomparsi. Lei era diversa. Li nascondeva, se ne vergognava, e a parte in qualche istante di tenerezza e di scherno con lui, Nevaeh non mostrava altro se non il proprio sadismo e il proprio istinto omicida. Quella notte avevano bevuto un po' troppo, entrambi, e stavano camminando da una parte all'altra delle strada come due dei peggiori ubriaconi. La nebbia scendeva davanti agli occhi a tratti, quando un'altra figura si parò davanti a loro, una figura abbastanza conosciuta nel loro ambiente, anche se molto temuta e molto poco vista. Melancolia Drokomoninov, detta "la Sterminatrice". Ed era vero. Era lei l'esempio di tutti gli uomini e le donne che intraprendevano la carriera di assassini professionisti. Rigore, disciplina, rispetto delle regole. Il modello da prendere in considerazione. Non per loro. Gli occhi color ghiaccio della donna, così simili ai suoi, fissavano i loro corpi, che non riuscivano a stare dritti dal troppo alcool bevuto. Era durato un attimo. Un pugnale d'oro e due pistole fendevano già l'aria. Poi, l'irreparabile. E tutto finì in un solo, accecante, istante di disperazione.
Entrambi avevano partecipato al funerale, poiché era pur sempre una di loro, e la gerarchia andava rispettata in ogni occasione. Nessuno era a conoscenza di chi l'aveva uccisa. Non vi erano molte persone. Delphine Moonblack , una delle tante killer a doppia sponda, come le chiamava lei, era rimasta in disparte, dietro un platano. E da quel giorno, tutto cambiò in un solo, breve attimo di pura follia.
Spero vi piaccia...questo è il primo capitolo, il primo di una lunga serie, spero.
Mi piacerebbe sapere la vostra opinione, in qualunque caso.
Con tanta curiosità e ancor più voglia di scrivere,
Saana Leyla Ayed