[Dormitorio dei Grifondoro - ore 2.00 circa]
Queen è tutto quello che sai fare?Mi rigirai ancora una volta nel letto.
Le risate della classe risuonavano ancora nelle mie orecchie, come la fastidiosa voce di Elisabeth che mi prendeva in giro.
Per l’ennesima volta mi tirai su le coperte, coprendomi il capo, quasi che potessi allontanare i brutti pensieri ed i brutti ricordi di quella giornata da dimenticare.
Sospirai, mentre mi sforzavo di tenere gli occhi chiusi e di dormire.
Era da quella mattina che quella frase e quelle risate continuavano a risuonare dentro di me. Non ero abituata a fallire. Non mi piaceva fallire!
Fallire contro una Serpeverde, poi, mi faceva infuriare ancora di più!
Mi rigirai ancora una volta nel letto.
Ogni posizione era scomoda e mi sentivo come su un letto di carboni ardenti!
Erano ore che andavo avanti così. Non ce la facevo più!
Mi alzai di scatto sul letto, scoprendomi dalle lenzuola.
Per Morgana! Se non riuscivo a prendere sonno, almeno avrei potuto fare qualcosa.
A casa Richard era solito sempre prepararmi una cioccolata calda, quando non riuscivo a dormire ed ero troppo agitata. Ma lì, in quel luogo estraneo e sconosciuto, non c’era il mio Richard a prendersi cura di me.
Ero da sola!
Sospirai ancora.
Con stizza malcelata mi vestii in fretta.
Non sarei restata in quella stanza un minuto di più, come se l’allontanarmi da quel luogo potesse placare il mio malumore e zittire le voci e le risa dentro la mia testa.
Era come se non riuscissi a stare ferma. Già la mia indole era irrequieta, ma quando qualcosa non andava per il verso giusto - il MIO verso! - non riuscivo a placarmi.
Uscii dalla Torre dei Grifondoro di gran fretta e presi la prima scala a caso che era lì: avevo l’adrenalina che mi scorreva dentro e che chiedeva di essere sfogata, da qualche parte, una qualsiasi!
Vagai per alcuni minuti senza meta: scendevo, risalivo, scendevo di nuovo, salivo ancora.
Tutto pur di non fermarmi.
Tutto pur di non pensare.
Queen è tutto quello che sai fare?Ancora la frase mi rimbombava dentro: appena mi fermavo per riprendere fiato da quel girovagare senza un fine, ritornava prepotente a risuonare dentro di me.
Di solito ero brava con gli incantesimi. Brava per una studentessa del primo anno che non ne aveva mai praticati! I miei genitori, sempre troppo impegnati, non avevano mai curato la mia educazione “magica” e Richard, al quale ero affidata - il fedele maggiordomo di famiglia - era un Magonò.
Non avevo appreso da nessuno, quindi, a fare magie.
Era Hogwarts che me le stava insegnando, assieme a tutto il suo corpo docenti.
L’"Everte Statim" è un incantesimo del primo anno!Pensai con stizza. Lo avevo già eseguito.
Sapevo esattamente cosa avrei dovuto provare e come scagliare l’incanto.
Eppure quella mattina a lezione non c’ero riuscita!!!
In realtà, dovrei dire che ero stata distratta...
Serrai la mascella, quando la scala finì di muoversi.
Mentre mi incamminavo per il corridoio, riconobbi il luogo nel quale il mio girovagare mi aveva portato.
[Corridoio del Sesto Piano - ore 2.21 circa]
Ero al sesto piano, precisamente nel corridoio dove si aprivano gli uffici dei professori.
Era lì che ero arrivata, dunque.
Chissà perché mi ero fermata proprio di fronte l’ufficio della Vice Preside Vireau.
Uno strano scherzo del destino!
La lezione dove avevo fatto la mia pessima figura era proprio quella di Incantesimi!
Mi sentivo un fascio di nervi e rabbia.
Quelle strane emozioni negative pervadevano l’intero mio essere e la cupa luce lunare che filtrava appena dalle immense vetrate, illuminava il mio volto serio e contratto.
Tutto era immerso nel buio. Per non farmi scoprire non avevo neanche usato il “Lumos”.
Incosciente, sì! Stupida, no!
La luna piena per fortuna aveva rischiarato a tratti il mio cammino fin là.
Infilai istintivamente una mano in tasca e ne tirai fuori la mia bacchetta.
La mia bellissima bacchetta, di cui avevo sprecato il potenziale, proprio quella mattina!
Bruciava. Bruciava tanto!
Il mio carattere volitivo soffriva per l’umiliazione subita.
La osservano lì poggiata sui palmi delle mie mani, quasi che lei - la bacchetta - potesse dare una risposta alle mie domande.
Non potevo prendermela con la professoressa: aveva scelto un incantesimo del primo anno per la prova pratica di quella mattina.
Ed anche se Elisabeth era più grande di me, io ero certa di riuscire a farcela: di eseguire l’incantesimo correttamente e adeguatamente.
Sospirai ancora.
Mi ero concentrata, mi ero preparata, sapevo cosa avrei dovuto provare.
Quello a cui non ero preparata, invece, erano i commenti degli altri ragazzi e di Elisabeth, in particolare. Era molto competitiva, era una Serpeverde d’altronde.
Era raggiante di poter confrontarsi con me ed era sicura di vincere.
Glielo avevo letto in faccia.
Ma lo ero anch’io! Non ero abituata a perdere! Non ero abituata a non vedere soddisfatte le mie aspettative!
Era bastata una parola, detta al momento giusto, quello in cui stavo scagliando l’incantesimo, per destabilizzarmi.
La mia concentrazione era alta, ma era tutta focalizzata sull’esecuzione di ciò che mi veniva richiesto a quella lezione. Non avevo pensato che i Serpeverde fossero scorretti. Eppure, me lo sarei dovuta aspettare!
Le risatine di scherno dietro di me mi avevano distratta e riconoscere tra le tante, quella di Elisabeth, ancora di più.
Chissà perché da lei non me lo sarei mai aspettato!
Forse perché era sempre educata e gentile o perché quei capelli biondi e gli occhi azzurri mal si addicevano a una persona “cattiva”.
Nella mia mente di bambina, ritenevo che chi fosse bello fosse anche buono.
O almeno finora la mia esperienza era stata questa.
Invece mi sbagliavo. Mi sbagliavo di molto!
Si fosse limitata a battermi, forse, non me la sarei presa tanto, ma erano state le frasi di scherno sue e degli altri Serpeverde a farmi imbestialire!
La rabbia e la frustrazione con il passare delle ore di quella tremenda giornata non avevano fatto altro che aumentare, dentro di me.
Un fuoco che si alimentava e mi bruciava da dentro.
Ero sempre stata abituata ad avere tutto!
Volevo anche essere la migliore!
Mi ero sfogata camminando, sfidando le regole, eppure non era ancora sufficiente.
I miei passi mi avevano condotta fino a lì.
Fuori orario, decisamente oltre il coprifuoco, a vagare senza meta.
Io e la mia rabbia!
L’unico pensiero che mi dava un qualche sollievo, in quel momento, è che prima o poi mi sarebbe capitata l’occasione di prendermi la rivincita: su Elisabeth e sui Serpeverde!
Strinsi con forza la bacchetta che avevo in mano.
Un piccolo brivido risalì dalla mano al braccio, un lieve pizzicore mi solleticava il palmo con il quale la impugnavo.
La notte scura rendeva le mie emozioni ancora più cupe.
Forse non era stata una buona idea girovagare a quel modo.
Forse non era servito a nulla, se non farmi rischiare di prendere una punizione.
Ma avevo agito d’impulso.
L’impulsività: un altro dei miei “pregi”.
Ed il motivo per cui quella notte mi trovavo lì, a fissare l’ufficio della professoressa Vireau, in quel corridoio buio.